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When you’re drawing human beings, being too realistic can seem malicious: “It would be like giving life to little corpses.” Sometimes I wonder if Henry Selick, who said these words, was thinking about the irony of his characters. However, what I wish to emphasize about drawing is the ironic trait that denotes my characters, but unlike Selick, they are meant to represent the reality of a fact, acting in an ambiguous and impenetrable context.

The intrinsic irony of the characters is often recognizable in the hybrids that populate my scenarios, mostly intergeneric, staged through a very intimate and personal iconography, without any historical references. 

I really like to draw from everyday life, so I enjoy desecrating everything concerning the ordinary, avoiding clear discernment by appearance or by the behavior of my characters, their intentions and emotions. To make this happen, I need to replace ordinary faces with animal heads, and when these are not suitable to me, or portray sufficient irony, I cut them off altogether, and there’s not even a shadow of a head.

This metamorphic “game” thus becomes for me a weapon used to commit irony, and for the spectator, the key to understanding it. Kant defined the game as an activity that produces pleasure. In spite of this, in my case it often also produces complaints, so much so that I feel I should offer explanations. It is the gradual decline of all qualities and skills that make a man a human being, to have a vision of how society conditions us and how people allow themselves to be influenced.   

 

 

“Quando disegni esseri umani, essere troppo realistico può essere dannoso: sarebbe come dare vita a piccoli cadaveri”.

A volte mi chiedo se Henry Selick  mentre citava queste parole pensasse all'ironia dei suoi personaggi, tuttavia quello che desidero sottolineare nel disegno è il tratto ironico che denota i miei personaggi, ma diversamente da Selick, essi  hanno lo scopo di rappresentare la realtà di un fatto agendo in un contesto equivoco e impenetrabile.

L'ironia  intrinseca dei  personaggi è spesso riconoscibile negli ibridi che popolano i  miei scenari, per lo più intergenerici, messi in scena per mezzo di un'iconografia del tutto intima e personale priva di ogni riferimento storico.

Mi piace molto attingere dalla quotidianità, così mi diverto a dissacrare tutto quello che concerne l'ordinario, evitando di far trasparire, dall'aspetto o dal comportamento dei miei personaggi, le loro intenzioni e le loro emozioni. Per far si che questo accada, ho bisogno di sostituire i volti dell'ordinario con teste di animali, quando queste non fanno al mio caso o al caso dell'ironia, allora il taglio è netto e di teste nemmeno l'ombra.

Questo “gioco” metamorfico così diventa per me l'arma per “commettere” ironia e per lo spettatore la chiave per comprenderla. Kant definì il gioco un'attività che produce piacere, tuttavia nel mio caso spesso produce anche denuncia, tanto che quello che più mi preme di raccontare è il declino graduale di tutte le qualità e le doti che fanno dell'uomo un essere umano, per avere una visione di come la società ci condiziona e come le persone si lasciano condizionare.

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